Spazio Mussi o spazio d’ape antivarroa

Ciao a tutti apicoltori neofiti, professionisti e semplici curiosi, dopo tanto tempo rieccomi qui a scrivere per voi, sempre gratuitamente. Come avrete letto nel mio ultimo articolo ho avuto alcune difficoltà che mi hanno impedito di continuare, ma ho visto che il mio blog, nonostante sia stato fermo, ha ricevuto moltissime visite e per questo ora vorrei recuperare un po’ e continuare a mostrarvi i risultati dei miei test sul campo, se così vogliamo chiamarli.

Oggi parleremo dello spazio Mussi, ma vi anticipo che non è una tecnica facile da applicare per cui, se volete, consiglierei di iniziare a convertire al massimo tre dei vostri alveari, per provare a vedere come vi trovate.

Quindi semplicemente vi auguro una buona lettura.

…Che cos’è il Mussi e a cosa dovrebbe servire?

Iniziamo col dire che il dott.Francesco Mussi è un etologo, che studiando il comportamento delle api ha ideato una modifica che consiste nell’aumentare lo spazio inter-favo (cioè lo spazio compreso tra un telaio e l’altro) e che ha reso pubblico il suo brevetto alcuni anni fa. Quindi ora Mussi é anche il nome di una tipologia di conduzione basata sull’utilizzo di arnie con favi distanziati in modo specifico.

Per semplificarci la vita il grande dott.Mussi ha ideato e messo in vendita dei distanziatori in metallo, chiamati distanziatori Mussi per l’appunto, che permettono di avere ai favi di covata più distanti tra loro e i favi di scorte più vicini.

Facendo ricerche sul web su molti forum riguardo l’argomento Spazio Mussi si ottengono opinioni discordanti, cercheremo quindi di fare un po’ di chiarezza in questo articolo.

Innanzitutto i distanziatori mussi sono fatti così (vedi la foto seguente) e hanno una distanza equa e maggiorata tra tutti i telai eccetto che su quelli estremi, quelli dove le api vanno a posizionare solitamente le scorte. Questi ultimi infatti tornano ad avere la distanza convenzionale.

immagine non disponibile
Questi (in alto) sono gli unici veri distanziatori Mussi, si riconoscono dalla distanza interfavo differente tra il primi e il secondo favo e tra l’ultimo e il penultimo che sono più vicini tra loro rispetto a tutti gli altri. Spesso vengono spacciati distanziatori da melario come Mussi, fate attenzione perché poi avrete difficoltà nella gestione corretta del metodo. Il primo in basso è un distanziatore da melario, potete confrontarlo voi stessi.
distanziatori arnia
L’ultimo distanziatore è quello classico, con misure standard da nido.

Come iniziare?

Per prima cosa bisogna scegliere la famiglia che vogliamo inserire nell’arnia con i distanziatori Mussi e, per essere certi che la famiglia in questione abbia api sufficienti, deve essere prelevata da un portasciami e deve aver coperto (coperto=occupato su entrambi i lati) e lavorato tutti e 6 i  telai del nido.

Nell’arnia Mussi si inserisce, in una delle estremità, un telaino con foglio cereo e a seguire si prendono tutti i telai dal portasciami e si riportano ognuno al suo fianco, ovviamente rispettando il loro ordine e concludendo con un diaframma (il diaframma può essere autocostruito con dei fogli di pvc e un telaio vuoto, se vi interessa come costruire un diaframma fatemelo sapere nei commenti).

Come si convertono le arnie con distanziatori standard

Mettiamo di dover utilizzare questi distanziatori su arnie Dedant da 10 favi… dopo aver schiodato i distanziatori convenzionali e installato i d.Mussi questi porteranno 9 favi anziche 10.

Dovremmo poi inserire 2 diaframmi ai due estremi così da portarli a 7 favi. Questa e’ la dimensione ottimale del nido che dovrete poi mantenere per tutta la stagione.

E’ possibile iniziare a utilizzare il metodo Mussi in qualsiasi momento dell’anno, posizionando un diaframma nel primo spazio, quello più esterno, poi si posizionano i favi pieni di api negli spazi centrali seguiti dall’altro diaframma.

Una volta che le api saranno pronte a ricevere un nuovo telaio con foglio cereo, questo si potrà inserire al posto del primo diaframma e quando questo sarà stato “tirato” (tirato=lavorato) pienamente questo si spostera nel secondo spazio scalando cosi tutti i telai successivi di un posto. Nel primo spazio rimasto vuoto andra poi riposto il diaframma tolto in precedenza.

Effetti indesiderati…

La prosperosa corona di miele che si formerà sui telai del nido, potrà in alcune famiglie essere causa di ponti di cera tra i telai e ciò renderà anche impossibile riadattare i favi di Mussi in arnie o portasciami che montano distanziatori standard.

Ho riscontrato non poche difficoltà anche a utilizzare questi favi nei porta-sciami poiché i telai avevano una corona di miele che le api avevano ovviamente allargato con la conseguenza che era impossibile affiancare i telai e riadattarli ai distanziatori interni del porta-sciami.

Quindi in pratica si può passare dai distanziatori standard ai d. Mussi, ma è molto difficile tornare all’origine.

Fate attenzione perché alcuni rivenditori confondono i suddetti distanziatori per quelli da melario che ovviamente hanno la medesima distanza su TUTTE le posizioni, come vi ho già indicato nel paragrafo precedente e per questo non hanno la stessa funzionalità quando si va alla pratica.

…ma quali sono i vantaggi?

Si chiama “grooming” ed è la capacità delle api di spulciarsi, ovvero di togliersi la Varroa di dosso come fanno i cani quando si grattano, per capirci… e/o di spulciarsi reciprocamente, come fanno le scimmie, in questo caso allow-grooming o social grooming. Questo comportamento è stato studiato da alcuni ricercatori ed è molto frequente nell’ape mellifera.

Questo comportamento sembra che si sviluppi nel momento in cui le api aumentano di numero e lo spazio Mussi favorisce questa condizione perché essendoci più spazio d’ape (spazio d’ape=spazio vitale) le api cercano di colmarlo con altre api. In pratica si avranno più api rispetto a quante ce ne siano in un alveare mantenuto con i telaini convenzionali e, a detta dello studioso, si aggiungono altre mansioni che copriranno le api disoccupate.

Attenzione però, anche se il metodo Mussi può aiutare a gestire meglio la varroa, per la legge italiana i trattamenti sanitari rimangono comunque obbligatori, nonostante io non sia pienamente d’accordo con questo.

Se volete chiedermi qualcosa in più, scrivetemi pure nei commenti, sarò lieto di rispondervi.

Se avete bisogno di assistenza con i vostri alveari, da oggi potrete contattarmi via mail direttamente dal form presente nella sezione contatti.

Se trovate errori grammaticali o refusi nell’articolo perdonatemi e se potete segnalatemeli nei commenti.

Vi ringrazio per essere qui, a presto!

Emanuele L.

Risultati personali sulla sperimentazione del telaio trappola anti-Varroa

Salute a tutti amici apicoltori,

come capirete dal titolo oggi parliamo di trattamenti. Negli articoli (e anni) passati come avrete potuto leggere ho sempre rimosso Varroa utilizzando il telaio trappola a tre settori, chiamato anche TIT3 (Telaino Indicatore Trappola 3 settori) o anche telaino di Campero. Purtroppo questo metodo che vedete descritto qui in due articoli risulta molto laborioso e a volte anche inefficace perché se non avessimo produzione massiva di fuchi diventerebbe impossibile eliminare Varroa e inoltre e’ dispendioso perché si butta una parte di cera che le api faticosamente costruiscono il che non e’ poi tanto etico. Di etico oltretutto non c’è nemmeno il fatto di uccidere tutti i fuchi anche se questi infestati da Varroa sarebbero morti ugualmente. Ma lo preferivo per il fatto di non immettere nessun componente esterno, nessun prodotto chimico artificiale nei miei alveari e nemmeno naturale come l’acido ossalico, contenuto già in piccola parte nel miele. I risultati del TIT3 non mi hanno soddisfatto, le api non producono granché perché consumano molto miele per rifare la cera, e quindi alcune famiglie, circa il 20% annuo, perse per via della siccità e carenza di scorte per l’inverno perché purtroppo mi trovo in una zona agricola e coltivata in maniera intensiva dove non ci sono ampie fonti nettarifere e il cambiamento climatico di certo non agevola.

Ho deciso quindi da quest’anno di tornare al tradizionale acido ossalico (in molti siti abbreviato con la sigla AO) gocciolato invernale ed estivo con blocco di covata naturale nel primo caso. Nel successivo articolo spiegherò come e quando eseguirlo. Per il momento vi anticipo che e’ un metodo estremamente facile da eseguire in questo periodo poiché e’ consigliato che la temperatura esterna si aggiri tra 5°C e 10°C, vi spiegherò’ anche il perché, e questo metodo riesce a rimuovere tra il 95 e il 98% di Varroa presente nei vostri alveari.

Iscrivetevi al sito, lasciando la vostra mail qui affianco per ricevere l’avviso sui nuovi articoli!

Mi farebbe piacere che lasciaste una vostra opinione, critica, pensiero o domanda qui sotto nei commenti.

A presto e buon api-cultura!